A Cura dello Studio Legale Ferrante e Associati
Nella contemporanea realtà commerciale è frequente che le singole imprese, anziché curare dall’inizio alla fine le singole fasi del processo produttivo e distributivo dei beni da esse realizzati, preferiscano, piuttosto, affidare a imprese terze alcuni dei segmenti di cui si compone l’iter. Così facendo, si ha un notevole risparmio dei costi d’investimento ma, nel contempo, può in concreto realizzarsi un netto miglioramento dei livelli di servizio offerto all’utente finale. In questo quadro, è del tutto evidente che l’esternazionalizzazione del processo produttivo-distributivo comporta, inevitabilmente, la necessità di regolare in modo uniforme le singole fasi che lo compongono, sì da garantire modi di interazione tra esse, nonché uniformi modalità di pagamento, lo scambio di informazioni, le coperture assicurative etc.
Il contratto di logistica è, segnatamente, quello in forza del quale le parti intendono gestire l’intero processo dei flussi, di materie prime, semilavorati e prodotti finiti, con riguardo all’intero arco temporale segnato decorrente dall’attività esercitata dal produttore a quella esercitata dal distributore.
Detto contratto non è oggetto di alcuna disciplina all’interno del nostro ordinamento giuridico, sicché può dirsi legalmente atipico; di contro, la vasta diffusione nella prassi commerciale, anche alla luce delle esigenze prima illustrate, lo rende socialmente tipico e, pertanto, meritevole di particolare attenzione.
Preliminarmente va osservato che le singole prestazioni oggetto delle obbligazioni dedotte nel contratto in esame sono, a loro volta, spesso riconducibili a un contratto tipico (trasporto, vendita, locazione etc.): ma la particolarità del c.d. contratto di logistica consiste, appunto, nel pretendere di coordinare, mediante un unico regolamento negoziale, tutte quelle necessarie a comporre il processo produttivo-distributivo.
Quanto precede consente di comprendere la ragione per la quale il primo problema posto all’operatore dal contratto in esame consiste nella qualificazione della sua natura giuridica: detta operazione, lungi dall’essere squisitamente teorica, è strumentale ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile.
Secondo un primo orientamento, il contratto in esame è regolato in particolare dalle norme del trasporto, del deposito e della spedizione. Esso fa leva sulla circostanza che, di regola, le obbligazioni nascenti dal contratto in esame sono, nella sostanza, riconducibili a quelle derivanti dai contratti richiamati.
Di contro, i sostenitori di un altro orientamento hanno obiettato che, ancorché ciò accada di frequente, nondimeno non sarebbe possibile (né scientificamente corretto) far assurgere l’assunto a regola generale, posto anche che le obbligazioni dedotte possono essere le più svariate e, pertanto, neppure astrattamente riconducibili a quelle dei quali il deposito, il trasporto e la spedizione sono fonte. Alla luce di tali obiezioni, si è pertanto optato per ritenere che esso sia un contratto misto, al quale pertanto è applicabile la disciplina – a seconda di quale sia la tesi cui si aderisca – o della combinazione (della disciplina) di tutti i tipi contrattuali che lo compongono o dell’assorbimento del tipo prevalente. Al riguardo, occorre tener conto che la prevalente giurisprudenza di legittimità sembra orientata a favore della teoria dell’assorbimento (Cfr., tra le tante, Cass. n. 11656 del 2008).
Anche l’applicazione della teoria dell’assorbimento al contratto di logistica non è immune da critiche. Si obietta, in particolare, che l’eterogeneità delle prestazioni che lo connotano rende alquanto difficile, se non addirittura impossibile, l’individuazione del tipo prevalente.
Alla luce di tale considerazione, si è sostenuto di inquadrare il contratto in oggetto nell’ambito dell’appalto di servizi. Lo svantaggio di tale costruzione è determinato dal fatto che, come noto, il codice civile non detta un’autonoma e articolata disciplina all’appalto di servizi; anzi la stessa sembra piuttosto modellata pensando che la prestazione dovuta dall’appaltatore consista nell’esecuzione di un’opera, con conseguente difficile individuazione del regime giuridico applicabile.
L’obiezione appena formulata è fatta propria dai sostenitori di un altro, e diverso, orientamento, secondo il quale il contratto in parola deve essere ricondotto nell’ambito della somministrazione di servizi. Si tratta, infatti, di un contratto di durata, a esecuzione continuata, connotato da una pluralità di prestazioni disomogenee. In tal quadro, la somministrazione di servizi si configura come un unico negozio, di durata, a esecuzione continuativa o periodica.
Al riguardo, va specificato che il codice civile – mentre in materia di appalto (art. 1677) fa espresso riferimento ai servizi quale possibile contenuto dell’obbligazione assunta dall’appaltatore – in materia di somministrazione (art. 1559) si riferisce alle sole cose, al fine di indicare l’oggetto del contratto. Il tenore letterale delle norme appena esaminate ha dato luogo a un contrasto di opinioni. Secondo l’orientamento tradizionale è da escludersi l’ammissibilità della somministrazione di servizi. Secondo altro orientamento, più recente, è invece ammissibile, posto che, da un lato, non può attribuirsi valore probante al dato letterale della formulazione legislativa e, dall’altro, lo stesso art. 1677 c.c. in materia di appalto di servizi richiama le norme dettate per la somministrazione.
In questa sezione pubblichiamo gli articoli sul contratto di logistica e sulla disciplina del contratto di logistica.
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