A Cura dello Studio Legale Ferrante e Associati
Con il termine contratti di pubblicità si suole identificare, in dottrina, un’eterogenea categoria di contratti, connotati da taluni elementi distintivi ma accomunati dall’elemento della realizzazione di una campagna pubblicitaria.
In linea generale, l’impresa nel cui interesse è svolta la pubblicità è detta committente, mentre quella cui è affidato il compito di gestire la campagna pubblicitaria è detta agenzia pubblicitaria. Il messaggio pubblicitario è, poi, diffuso al pubblico giusta contratti ad hoc stipulati con apposite imprese che gestiscono i mezzi di comunicazione. E queste ultime, a loro volta, si avvalgono dell’ausilio di imprese il cui compito è raccogliere i messaggi pubblicitari.
Il criterio discretivo tra contratti di pubblicità (da un lato), sponsorizzazione e merchandising (dall’altro) va individuato, pertanto, nella circostanza che soltanto i primi mirano a realizzare una campagna pubblicitaria, mentre i secondi mirano a perseguire genericamente uno scopo pubblicitario. Nel caso della sponsorizzazione tale fine è perseguito persino indirettamente perché il ritorno pubblicitario in favore dello sponsor costituisce solo il riflesso dell’utilizzo, da parte dello sponsee, del marchio o dell’altro segno riferibile allo stesso. Così non è invece nei contratti di pubblicità, nei quali la realizzazione della campagna pubblicitaria costituisce l’oggetto immediato del contratto.
Ciò premesso, va ora analizzato il contratto di agenzia pubblicitaria. Trattasi segnatamente del contratto in forza del quale l’agenzia pubblicitaria si obbliga, nei confronti del committente, a progettare e a realizzare la campagna pubblicitaria verso un corrispettivo in danaro.
L’obbligazione contrattuale di cui è soggetto passivo l’agenzia pubblicitaria ha, pertanto, ad oggetto sia la prestazione di compiere tutto quanto necessario per ideare la campagna in ogni suo aspetto e fase sia nella sua effettiva realizzazione, addivenendo alla conclusione di contratti con talune imprese che gestiscono mezzi di diffusione.
È controverso se l’operazione in parola sia giuridicamente qualificabile come contratto unitario ovvero pluralità di contratti distinti, ancorché collegati.
A sostegno di quest’ultima opzione interpretativa depone l’argomento che si combinano i profili del contratto d’opera e del contratto di mandato. Di contro si obietta che l’unitarietà impressa dalle parti all’operazione non è solo economica ma anche giuridica, come si arguisce tanto dall’identità soggettiva della parte che sarebbe tenuta alle obbligazioni del mandatario e del prestatore d’opera (id est l’agenzia pubblicitaria) quanto dalla non scindibilità, secondo la volontà dei contraenti, d’una prestazione rispetto all’altra.
Gli argomenti per ultimo esposti inducono la dottrina e la giurisprudenza nettamente prevalenti ad avallare l’orientamento secondo il quale trattasi di contratto unitario.
Quanto alla disciplina, si invoca l’applicabilità analogica di quella dettata in materia di appalto di servizi. Ma la stessa non è idonea a regolare interamente il contratto in parola. Di peculiare rilievo, infatti, è l’obbligo di non concorrenza gravante sull’agenzia pubblicitaria e sullo stesso committente. La prima deve astenersi dal condurre campagne pubblicitarie per imprese operanti nello stesso settore merceologico del committente e rispetto ad esso concorrenti. Il secondo invece deve astenersi dall’incaricare più agenzie pubblicitarie al fine di progettare e realizzare campagne pubblicitarie concernenti il medesimo prodotto.
L’obbligo di riservatezza in relazione alle informazioni acquisite, gravante sull’agenzia pubblicitaria, secondo l’opinione nettamente prevalente costituisce corollario applicativo dell’obbligo di buona fede.
Da ultimo va precisato che le parti, nella loro autonomia, possono convenire quale compenso una somma fissa di danaro ovvero una percentuale della somma complessiva pari al costo dell’intera campagna pubblicitaria.
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